All’inizio della Scrittura è scritto: “In
principio Iddio creò il cielo e la terra” (Gn 1,1); e il catechismo
spiega: “li creò ex nihilo, cioè dal nulla”. Si affermano due cose
importanti: da un lato, la contraddittorietà del divenire e
l’inesistenza del nulla; e, dall’altro, la immobilità e l’eternità
dell’Essere Divino. Una delle difficoltà del versetto sembra costituita
dall’interpretazione dell’espressione “In principio”.
Qualsiasi spiegazione letterale o temporale, - come “prima del tempo” o
“al principio o all’inizio del tempo” e simili, - risulta semplicemente
falsa, perché razionalmente non si può né pensare né immaginare che
anteriormente alla creazione ci fosse qualcosa. Il tempo, infatti, nasce
con la stessa creazione. Prima della creazione, quindi, non c’è nulla,
ossia non c’è nessun elemento, nessuna energia, nessuna immagine, nessun
motivo, neppure un impulso arcano verso l’esistenza, ma esclusivamente
il nulla! Per definizione, il nulla è inimmaginabile e impensabile!
Questo, il significato negativo del creare dal nulla.
Positivamente, invece, si afferma l’esistenza dell’Essere Creatore,
nella sua intrinseca beatitudine di amore, che, in seguito, si rivelerà
come stupenda realtà misterica di Unità e Trinità insieme: Padre Figlio e
Spirito Santo. Di conseguenza, ad extra Dei, cioè al di fuori di Dio,
non esiste nulla. E tutto ciò che altrimenti è, deriva unicamente dalla
esclusiva libertà e dalla potenza onnipotente di Dio. Ora, Dio, nella
sua Unicità di Natura e nella Trinità delle Persone, che si amano
perfettamente di amore infinito, non ha bisogno di niente, perché in sé è
semplicemente semplice e perfetto assolutamente; e ancora, poiché ciò
che Dio fa è Divino, come dice anche Platone nel Timeo (41c 3-5), allora
razionalmente la creazione non può essere opera diretta e immediata di
Dio, ma solo indiretta e mediata, ossia di un Dio Umanizzato, che,
liberamente, “prima” crea e sublima la materia con l’assunzione della
“natura umana”, e, poi, orienta la sua azione creatrice dell’universo
mondo per la sua venuta storica sulla terra. La materia, per sé, è sede
della necessità, della contingenza, della finitudine, del movimento,
dell’imperfezione, del limite, della corruzione; mentre Dio, della
libertà necessaria e della necessità libera, dell’immobilità perfetta,
della incorruttibilità eterna, della perfezione semplice assoluta e
infinita.
Come spiegare, allora, la creazione?
Per mezzo dell’unica opera ad extra di Dio, ossia dell’Incarnazione del
Verbo, il Summum Opus Dei, come la chiama Duns Scoto (Reportata
Parisiensia, III, d. 7, q. 4, n. 4), e tradotto nella lingua italica con
il Capolavoro di Dio, (Duns Scoto, Antologia, a cura di G. Lauriola,
Ed. AGA - Alberobello 2007, 2 ed., p. 187). Cristo Venturo, quindi, in
quanto vero Dio e vero Uomo, crea tutto ciò che esiste sia nell’ordine
soprannaturale sia nell’ordine naturale; e, “nella pienezza del tempo,
nasce [storicamente] da donna” (Gal 4, 4), per compiere liberamente e
volontariamente il disegno divino e rivelare con amore il mistero di
Dio, Uno e Trino: “Cristo è l’immagine [sostanziale] del Dio
invisibile…” (Col 1, 15-17). Allora, l’espressione “In principio” non
significa altro che “In Cristo”, come viene interpretato anche dai
Padri; e il versetto genesiaco, quindi, afferma, nel suo significato più
profondo, la preesistenza di Cristo, che si espande in tutta la
Scrittura, dalla preistoria ontologica alla metastoria escatologica
attraverso la storia esistenziale della sua avventura divino-umana: “In
principio [In Cristo], Dio creò il cielo e la terra” (Gn 1,1); “Alfa e
Omega, Principio e Fine, il Primo e l’Ultimo” (Ap 1, 8; 22, 13); “In
principio [In Cristo] era il Verbo…” (Gv 1,1).
Disegno di Dio
Il disegno della salvezza, rivelato nella massima libertà dal mistero di
Dio, manifesta ad extra la pienezza di vita e d’amore che Dio contiene
in sé e per sé, rendendo Parola Incarnata il suo Silenzio Trinitario.
Tutto ciò che esiste fuori-di Dio e diverso-da Dio è opera della Parola
Incarnata. Ora, tra l’azione efficace della Parola e ciò che è prodotto
si costituisce un legame di dipendenza originale che tiene unita ogni
creatura al suo Creatore, perché nell’effetto riluce sempre qualcosa
della sua causa: hanno la stessa natura o origine (cf Eb 2, 11).
La perfezione dell’effetto creato dipende dal grado di partecipazione
dello stesso alla causa creatrice: quanto più è vicino o simile alla
causa, tanto più è perfetto. Tra le creature razionali, l’uomo, per la
sua autoconsapevolezza e libertà, possiede la capacità di riconoscere la
sua dipendenza dalla causa originante e di modellare la sua vita su di
essa: la sua perfezione, quindi, è direttamente proporzionale alla sua
vicinanza e somiglianza alla causa.
In questo modo, la Parola Incarnata, che rende “visibile il mistero di
Dio invisibile” (Col 1, 15), si auto-rivela come causa efficiente, come
causa formale e anche come causa finale dell’universo mondo e di ogni
singolo essere, specialmente dell’uomo, creato a immagine di Cristo e
chiamato alla partecipazione massima con il suo Creatore. E la stessa
Parola Incarnata si propone come norma e regola dell’essere in qualsiasi
modalità esistenziale esso si realizzi. Difatti, una realtà è quella
che è, non in quanto è in sé stessa, ma in quanto è più o meno vicino
alla Parola Incarnata, che l’ha causata. La “vicinanza alla Parola
Incarnata” diventa, perciò, principio di perfezione e di santità per
l’uomo.
Principio di vicinanza a Cristo
Ogni essere, presente come idea nel disegno d’amore infinito di Dio,
viene chiamato all’esistenza da un atto libero e gratuito della Volontà
divina, che lo fa esistere concretamente nel mondo storico, secondo il
principio della vicinanza a Cristo, che Duns Scoto ha formulato nel
momento in cui ha considerato il Cristo nella sua triplice causalità. Di
conseguenza, dell’essere si possono avere diversi gradi di
partecipazione: come immagine, come vestigio e come ombra. La sua
importanza, allora, non dipende dalla semplice natura d’essere, ma dal
grado di vicinanza a Cristo, perché Cristo è regola e norma di
perfezione dell’essere sia universale che singolare.
Principio che si applica anche ai personaggi chiamati a compiere una
missione particolare alla realizzazione storica del disegno divino. Dal
Silenzio Trinitario si concretizza la Parola, che, per rivelarsi fuori
di sé, necessita della materia, ossia di un corpo visibile; onde, il
dono libero dell’Incarnazione. Per questo, dalla Parola viene sublimata
prima la materia, che per sé è contingente, e, assumendola in sé, apre
la possibilità alla stessa creazione dell’universo mondo spirituale e
materiale.
L’essere più vicino a Cristo Venturo è certamente la Madre, Colei che
gli parteciperà direttamente e concretamente il corpo umano, visibile e
perfetto, secondo le modalità che Lui stesso organizzerà nell’arco
storico fino alla “pienezza del tempo” (Gal 4, 4). E insieme alla Madre,
è logico supporre anche la figura del “padre” storico, che garantisse
l’attuazione dell’avventura umana del Nascituro nel rispetto delle leggi
esistenziali del tempo. Così, anche se in momenti logici differenti e
con diverse modalità funzionali, nel mistero dell’Incarnazione della
Parola sono presenti, a vario titolo, sia la “madre” Maria sia il
“padre” Giuseppe.
Ora, nell’esecuzione storica del disegno divino, secondo la felice
intuizione di Duns Scoto, è presente da sempre e contemporaneamente a
Cristo anche la Madre, uniti nel medesimo e identico decreto di
predestinazione da parte di Dio. Idea che, nell’evoluzione storica del
mistero dell’Immacolata Concezione, troverà conferma con Pio IX nel
1854, con la definizione dogmatica Ineffabilis Deus, che proclama
Immacolata la Madre di Cristo, fondandosi sia sull’unico e medesimo atto
di predestinazione, e sia sulla redenzione anticipata o preservativa di
Maria, ugualmente proposta da Duns Scoto, come “prima redenta” nella
previsione dei meriti futuri di Cristo.
Così, nel disegno divino è già presente la costituzione della “coppia”
originale e originante, da cui ogni essere, soprannaturale e naturale,
riceverà vita esistenza e grazia. È una coppia tutta speciale, perché
formata dal Figlio e dalla Madre, da Cristo e da Maria. La funzione di
Cristo è di natura, quella di Maria è di grazia. L’azione del Figlio è
diretta, quella della Madre è mediata. Si apre così il corso
dell’avventura umana di questa coppia, che dal Genesi abbraccia tutto
l’arco storico fino ad arrivare all’Apocalisse, attraverso le due
precisazioni storiche del profetismo, con Isaia (7, 13-14) e Micheia (5,
1-3), e del vangelo dell’infanzia con Luca (2, 1-52) e Matteo (1, 1-25;
2, 1-23). E proprio “nella pienezza del tempo” (Gal 4, 4), quando
Cristo deve iniziare la sua avventura umana, “emerge” tutta la grandezza
della personalità storica di Giuseppe, “sposo” di Maria e “padre”
putativo di Gesù.
Significato del nome “Giuseppe”
Come Cristo è il cuore del Silenzio-di-Dio e Maria il cuore del
Silenzio-Parola-di-Cristo, così Giuseppe, che etimologicamente significa
“aggiunto (da Dio)” alla coppia originale, viene a gravitare totalmente
nella sfera di questo silenzio sponsale e particolarmente del silenzio
della sua dolce Sposa, alla cui ombra esprime e realizza tutta la sua
forte e delicata personalità sia come “custode” delle origini
esistenziali di Cristo e sia come “protettore” della verginità della sua
Sposa.
Le due annunciazioni
Alla luce del principio scotista della vicinanza a Cristo, piace leggere
sia l’annunciazione lucana della Vergine (Lc 1, 26-27) sia quella
matteana di Giuseppe (Mt 1, 16-25), così da cogliere più da vicino
alcuni aspetti della volontà di Dio, espressa nel suo disegno di
salvezza. Lasciando per ovvie ragioni la prima, si fermi l’attenzione
sulla seconda annunciazione, per evidenziare la estrema sensibilità di
Giuseppe alle cose divine, che si sono manifestate apertamente nella
configurazione della speciale ed esclusiva coppia del Figlio-Madre,
nella cui orbita viene a gravitare chiaramente la sua personalità di
“uomo giusto”, perché più vicino di tutti a Cristo e a Maria. La storica
vicinanza di Giuseppe a tale “coppia” dà origine anche alla sua
particolare missione di custodire il nascituro Bambino e di garantire
anche la scelta della verginità della Madre, come segno della stessa
divinità del Figlio.
Per analogia a quella lucana, l’annunciazione giuseppina di Matteo si
svolge in due tempi: uno, anteriore alle spiegazioni angeliche, è
costituita dai segni della maternità di Maria, di fronte ai quali
Giuseppe “tace e pensa” nel tentativo di discernere sulla decisione da
prendere circa la promessa Sposa, e alla fine decide di lasciarla in
segreto; l’altra, invece, è il chiarimento angelico che assicura sul
fatto meraviglioso, che si sta compiendo in Maria, per opera dello
Spirito Santo, cui fa seguito l’immediata proposta di “prendere con sé
la sua Sposa”.
Il silenzio di Maria
Davvero sconcertante il comportamento di Maria!
Perché non disse nulla a Giuseppe?
La risposta ancora una volta riposa nel silenzio!
Maria tace. Difatti, chi avrebbe creduto alla sua parola? Maria si
rifugia nel silenzio e costringe il suo promesso sposo a progettare la
mossa del libello di ripudio (Mt 1, 16-25), perché egli non poteva
credere ai suoi occhi: la dolce fanciulla di Nazaret, la sua promessa
Sposa, è incinta! E nel mistero, Maria si chiude nel silenzio adorante
del suo Frutto verginale.
Nel suo sconcertante tacere, Maria, come catturata dall’enorme mistero
che si sta compiendo in lei, trascina anche Giuseppe nell’arcano
silenzio, accettato da lui solo per divina proposta: “e la prese con
sé”. E così dalla coppia originale e originante di Cristo-Maria,
Figlio-Madre, scaturisce ugualmente un matrimonio sui generis,
Giuseppe-Maria. Tutto si svolge lontano da ogni ingerenza della sfera
umana: Maria rispetta il silenzio di Dio, e Giuseppe i corrispondenti
silenzi di Maria.
Ciò che viene messo in luce in questa seconda annunciazione è la fede di
Giuseppe, che accetta con amore, con serenità e con gioia tutto il
mistero che si sta realizzando nella sua Sposa, per custodirlo. Ecco, il
senso del termine biblico a lui riferito di “uomo giusto”. Bisogna
interpretare come duplice l’intervento divino provocato dal silenzio di
Maria. Da un lato, il Signore viene in aiuto alla sua “serva”, che si
era dichiarata fedele fino in fondo: “avvenga di me quello che hai
detto” (Lc 1, 38). Come a dire: di fronte alla scelta del voto di
verginità perpetua di Maria e alla voluta maternità divina, il Signore
doveva trovare una via di uscita all’intrica situazione venuta a
crearsi.
Dall’altro, deve intervenire anche su Giuseppe, assicurandolo in modo
inequivocabile circa la natura dell’evento nella sua Sposa, e lo fece
attraverso il sogno: “Giuseppe, non temere di prendere con te Maria tua
sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo” (Mt
1, 20). In questo modo a Giuseppe è affidata la custodia, la protezione e
la memoria del grande mistero che si compie in Maria, sua sposa. E così
il Signore si manifesta ben superiore alla legge da lui stesso data
alla natura! Per logica conseguenza, è da supporre che, come a Giuseppe
fu chiesto di “non temere di prendere Maria come sposa”, così anche
Maria fu assicurata di non temere di prendere Giuseppe come suo sposo.
In questo modo, commenta Duns Scoto, rivolgendosi a Maria: “Lo Spirito
ti dona Giuseppe come custode e testimone della tua verginità, perché
come te è impegnato nel voto di continenza” (Ordinatio, IV, d. 30, q. 2,
n. 5).
Matrimonio con Maria
Certo, il matrimonio tra Giuseppe e Maria ha del singolare. Ci si
potrebbe chiedere: è valido un matrimonio in cui uno dei coniugi fa voto
assoluto di castità? La questione è di natura sia teologica che
giuridica: l’una, perché implica l’azione dello Spirito Santo che pone
Maria in una condizione privilegiata di verginità assoluta; e l’altra,
perché comporta dei chiarimenti circa un matrimonio valido, rato ma non
consumato. Molte le ipotesi e le conclusioni che si sono avvicendate
nello spiegare la delicata e complessa situazione. Si possono
raccogliere a tre principali: 1) chi accetta la validità del matrimonio e
rende il voto “condizionato”, se piace a Dio; 2) chi accentua il voto e
ridimensiona il consenso matrimoniale, considerandolo come una
relazione amicale; 3) chi riesce a conciliare le due tesi, della
validità del matrimonio e del voto assoluto di Maria. Questa terza
possibilità è proposta da Duns Scoto.
Secondo questa terza ipotesi, contratto matrimoniale e voto di castità
possono stare insieme. Nel contratto matrimoniale è inclusa la mutua
donazione dei corpi, che, però, è sottoposta a un’implicita condizione,
cioè ‘se viene richiesta’. Difatti, i contraenti, se, dopo la cerimonia
matrimoniale, volessero fare voto di castità, il loro matrimonio è
valido a tutti gli effetti, a meno che quella condizione ‘se venga
richiesto’, non venga posta in atto. Perché la condizione ‘se venga
richiesto’ possa salvare il contratto nei confronti del voto, è
necessario che i contraenti sappiano con certezza che essa non sarà mai
posta in atto. Ora, che Maria e Giuseppe abbiano avuto tale certezza, è
sicuro.
Difatti, così si esprime il Cantore dell’Immacolata: “Se vi è assoluta
certezza che la detta condizione, non verrà esercitata, il contratto
matrimoniale non pregiudica in nessun modo il voto di castità. Nel
nostro caso vi fu tale certezza. Si legge che l’angelo informò Giuseppe
‘Non temere di prendere Maria in moglie’ (Mt 1, 30). A maggior ragione e
senza ombra di dubbio alcuno, si può dire che anche Maria, prima di
promettersi a Giuseppe, fu resa sicura dall’Angelo o da Dio stesso: ‘Non
temere Maria di prendere Giuseppe, uomo giusto, come tuo marito’. Anzi
egli ti viene dato dallo Spirito Santo come Custode e Testimone della
[tua] verginità, essendosi legato anche lui con pari voto” (Ordinatio,
IV, d. 30, q. 2, n. 5).
Alla questione: il contratto di matrimonio è avvenuto prima o dopo
l’Incarnazione storica? Il voto di castità di Maria - risponde sempre
Duns Scoto - precede l’Annunciazione, come questa precede il matrimonio.
E così continua: Maria ha ricevuto da Dio un mandato speciale di
contrarre il matrimonio con Giuseppe, e ne enumera i motivi: per la
salvaguardia della Madre e per la tutela del Bambino. In questa
interpretazione, sembra più facile comprendere come Maria, già
illuminata su tutto il mistero dell’Incarnazione, abbia potuto dare il
suo assenso al matrimonio, senza includervi alcuna clausola di
consumarlo. Per cui, il suo matrimonio è valido a tutti gli effetti. I
fini principali del matrimonio vengono rispettati: procreazione
educazione della prole e amore reciproco.
Importanza della decisione di Giuseppe
Al di là delle singole interpretazioni, che sottendono sempre e comunque
un mistero, sembra utile riflettere alquanto sulla decisione di
Giuseppe di sposare ugualmente Maria, pur essendo incinta, in relazione
non solo a Lei, ma soprattutto al Nascituro e alla sua missione. Secondo
le leggi vigenti dell’epoca, non solo Maria non avrebbe avuto vita
facile, perché rischiava addirittura la “lapidazione”; mentre al Bambino
non si assicurava una evoluzione serena e dignitosa né alla sua
crescita personale né al suo ministero di portare la buona novella agli
uomini.
La decisione coraggiosa di Giuseppe, quindi, salva Madre e Figlio da
situazioni critiche in un piccolo paese, quale era Nazaret, in cui ogni
cosa passava di bocca in bocca: una ragazza madre e un figlio senza
padre! Invece, Giuseppe, con l’aiuto dell’intervento divino nel sogno,
manifesta ferma decisione e delicata fermezza, da essere confermato
nella sua “giustizia”, secondo l’agire proprio della fede che non lascia
mai in pace il cuore, pur lasciando la pace nel cuore. Prima che i
segni della gravidanza fossero evidenti, Giuseppe, sempre su indicazione
“dell’angelo del Signore, prese con sé la sua sposa...” (Mt 1, 24), e
si affrettò alla celebrazione del matrimonio.
La nascita del Bambino
La personalità di Giuseppe si rivela non solo nella delicatissima
decisione di custodire e garantire la verginità perpetua di Maria, ma
soprattutto nell’assicurare un futuro dignitoso e sicuro al Bambino, che
doveva nascere, secondo il disegno di Dio, proprio a Betlemme, dalla
radice di Iesse, da cui lui discendeva (Mt 1, 20; Lc 1, 27). Con quali
sentimenti dovette condurre la sua Sposa incinta dalla Galilea in
Giudea, per adempiere al dovere del censimento, dove si realizzerà la
profezia di Michea: “E tu Betlemme, così piccola per essere un capoluogo
di Giuda, da te uscirà colui che che dev’essere il dominatore
d’Israele” (5, 1). Le circostanze della nascita dovettero consolidare
nella fede la decisione voluta fortemente da Giuseppe. E come Maria
serbava nel suo cuore ogni evento e circostanza, così anche Giuseppe
pensava e rifletteva su ogni particolare che attorniava l’evento del
Nascituro e lo meditava con gioia nel suo cuore.
Una gioia sofferta
Gioia, però, messa a dura prova da tante altre circostanze profetiche ed
esterne che si manifestarono attorno al Bambino. Dalla “presentazione
al tempio”, in cui sentì quelle strane profezie del vecchio Simeone,
quando elevando al cielo il Bambino in segno di offerta e di
consacrazione insieme, lo chiamò “segno di contraddizione” (Lc 2, 34); e
alla Madre venne profetizzata “una spada trafiggerà la sua anima” (Lc
2, 35). Il cuore di “padre” si sentì profondamente scosso dalle
fondamenta, eppure Giuseppe conservò padronanza e serenità per sé e per
la Sposa, che, come dondolava il Bambino per addormentarlo, così nel suo
cuore sentimenti contrastanti bollivano in continuazione. La presenza
matura e adulta sia umana che di fede di Giuseppe costituiva un punto di
sicuro riferimento per Maria, anche se le ansie e le preoccupazioni per
il Bambino non cessavano mai di pulsare nel suo cuore, immerso nel
profondo silenzio arcano del volere divino.
Non è difficile indovinare i pensieri e i contrastanti sentimenti che
travagliavano sia Giuseppe che Maria alla notizia, circa la necessità di
mettere al sicuro il Bambino, ricercato da Erode per ucciderlo, che da
“buon politico” vuole eliminare il “rivale”, appena spuntato alla luce
del sole. Il potere politico, quando è totalitario, non si smentisce
mai. Essere avvertiti, notte tempo, del pericolo che il Bambino correva,
è il massimo della sofferenza umana per i due cuori semplici e pieni di
fede e di amore. E così la via dell’esilio egiziano si apre. Quale
prova umana e di fede insieme abbiano vissuto Giuseppe e Maria, non lo
può descrivere se non chi l’ha provato. Il Signore, in questo modo, ha
voluto forgiare nel crogiuolo della sofferenza più profonda e amara
anche il cuore di Giuseppe, nel portare il peso della famiglia e
nell’assicurarle il necessario in terra straniera, senza lavoro sicuro
né stabile dimora. Unica certezza, la fiducia nella Parola dell’angelo.
Difficoltà d’ogni genere, disagi oltre misura, incertezze fuori ogni
immaginazione dovettero essere compagni stretti di Giuseppe in quei
pochi anni trascorsi nell’antica e nobile terra egizia, da dove ha
origine il popolo eletto con Mosé. Sembra una coincidenza fortuita,
eppure, forse, dietro c’è un segreto disegno divino. Per analogia, si
può paragonare - mutatis mutandis - Giuseppe a Mosé, chiamato a
ricondurre il perfezionatore e dominatore del Popolo, Gesù, in terra
sicura e nella sua terra. Difatti, il messaggero divino non si fece
attendere, non appena le circostanze storiche mutarono con la morte di
Erode (Mt 1, 19-23). In questo passo evangelico, ancora una volta, è
palese tutta la portata della maturità di fede di Giuseppe, che si
abbandona sempre e completamente alla volontà celeste, nonostante tutte
le contrarietà della vita.
Rientro a Nazaret e ansia per il Bambino
Sembrava essere tornato il sereno dopo il rientro nella Galilea, dove la
vita finalmente scorreva nella normalità più assoluta: lavoro famiglia e
religiosità. E proprio in un momento di sentita religiosità partecipata
per la Pasqua a Gerusalemme, Giuseppe condusse la Sposa e il Dodicenne
con sé. L’immensa gioia pasquale ben presto però si tramutò in tragica
situazione, molto angosciosa con l’inspiegabile smarrimento di Gesù.
Cosa prova un cuore di padre e di madre alla constatazione che il loro
Bambino non è con loro! Tre giorni veramente angoscianti e struggenti,
anche per un cuore addestrato al soffrire e a vivere nell’incognito. La
percezione fisica della mancanza del Bambino è la massima fonte di
profondi turbamenti interiori e non solo. La ricerca affannosa e senza
esiti positivi poteva lanciare lontano i pensieri di Giuseppe e di
Maria, al fallito tentativo di Erode.
Qualche reminiscenza del timore erodiano si sarà risvegliata, e avrà
reso ancora più tragica l’affannosa ricerca del Bambino tra le file
della carovana del ritorno. Ma invano. E più cupo diventava la sera
senza del Bambino. Preghiere, ansie e silenzi prolungati dovettero
riempire tutto il tempo dei tre giorni sia di Giuseppe che di Maria.
L’avventura come era nata nel silenzio, così sembrava terminare nel
silenzio. La speranza è dura a morire. E venne premiata quando trovarono
Gesù a discutere nel tempio tra i dottori della legge. Finalmente, il
silenzio della mancanza venne riempito e ritornò la calma. E Gesù si
comportò “con più riguardo” verso i suoi genitori terreni.
Il sipario su Giuseppe
Con questo episodio, cessano le notizie rivelate su Giuseppe. La sua
vita si apre con il silenzio e termina nel silenzio. La chiave di
lettura sembra essere proprio questa: dal silenzio di Dio in Cristo al
silenzio in Dio con Cristo. Giuseppe è fedele a Cristo in Maria e in
Cristo con Maria.
Autore: Padre Giovanni Lauriola, ofm
Il nome Giuseppe è di origine ebraica e sta a significare “Dio
aggiunga”, estensivamente si può dire “aggiunto in famiglia”. Può essere
che l’inizio sia avvenuto col nome del figlio di Giacobbe e Rachele,
venduto per gelosia come schiavo dai fratelli. Ma è sicuramente dal
padre putativo, cioè ritenuto tale, di Gesù e considerato anche come
l’ultimo dei patriarchi, che il nome Giuseppe andò diventando nel tempo
sempre più popolare. In Oriente dal IV secolo e in Occidente poco prima
dell’XI secolo, vale a dire da quando il suo culto cominciava a
diffondersi tra i cristiani. Non vi è dubbio tuttavia che la fama di
quel nome si rafforzò in Europa dopo che nell’Ottocento e nel Novecento
molti personaggi della storia e della cultura lo portarono laicamente,
nel bene e nel male: da Francesco Giuseppe d’Asburgo a Garibaldi, da
Verdi a Stalin, da Garibaldi ad Ungaretti e molti altri ancora.
San Giuseppe fu lo sposo di Maria, il capo della “sacra famiglia”
nella quale nacque, misteriosamente per opera dello Spirito Santo, Gesù
figlio del Dio Padre. E orientando la propria vita sulla lieve traccia
di alcuni sogni, dominati dagli angeli che recavano i messaggi del
Signore, diventò una luce dell’esemplare paternità. Certamente non fu un
assente. È vero, fu molto silenzioso, ma fino ai trent’anni della vita
del Messia, fu sempre accanto al figliolo con fede, obbedienza e
disponibilità ad accettare i piani di Dio. Cominciò a scaldarlo nella
povera culla della stalla, lo mise in salvo in Egitto quando fu
necessario, si preoccupò nel cercarlo allorché dodicenne era “sparito’’
nel tempio, lo ebbe con sé nel lavoro di falegname, lo aiutò con Maria a
crescere “in sapienza, età e grazia”. Lasciò probabilmente Gesù poco
prima che “il Figlio dell’uomo” iniziasse la vita pubblica, spirando
serenamente tra le sue braccia. Non a caso quel padre da secoli viene
venerato anche quale patrono della buona morte.
Giuseppe era, come Maria, discendente della casa di Davide e di stirpe
regale, una nobiltà nominale, perché la vita lo costrinse a fare
l’artigiano del paese, a darsi da fare nell’accurata lavorazione del
legno. Strumenti di lavoro per contadini e pastori nonché umili mobili
ed oggetti casalinghi per le povere abitazioni della Galilea uscirono
dalla sua bottega, tutti costruiti dall’abilità di quelle mani ruvide e
callose.
Di lui non si sanno molte cose sicure, non più di quello che
canonicamente hanno riferito gli evangelisti Matteo e Luca. Intorno alla
sua figura si sbizzarrirono invece i cosiddetti vangeli apocrifi. Da
molte loro leggendarie notizie presero però le distanze personalità
autorevoli quali San Girolamo (347 ca.-420), Sant’Agostino (354-430) e
San Tommaso d’Aquino (1225-1274). Vale la pena di riportare soltanto una
leggenda che circolò intorno al suo matrimonio con Maria. In quella
occasione vi sarebbe stata una gara tra gli aspiranti alla mano della
giovane. Quella gara sarebbe stata vinta da Giuseppe, in quanto il
bastone secco che lo rappresentava, come da regolamento, sarebbe
improvvisamente e prodigiosamente fiorito. Si voleva ovviamente con ciò
significare come dal ceppo inaridito del Vecchio Testamento fosse
rifiorita la grazia della Redenzione.
San Giuseppe non è solamente il patrono dei padri di famiglia come
“sublime modello di vigilanza e provvidenza” nonché della Chiesa
universale, con festa solenne il 19 marzo. Egli è oggi anche molto
festeggiato in campo liturgico e sociale il 1° maggio quale patrono
degli artigiani e degli operai, così proclamato da papa Pio XII. Papa
Giovanni XXIII gli affidò addirittura il Concilio Vaticano II. Vuole
tuttavia la tradizione che egli sia protettore in maniera specifica di
falegnami, di ebanisti e di carpentieri, ma anche di pionieri, dei
senzatetto, dei Monti di Pietà e relativi prestiti su pegno. Viene
addirittura pregato, forse più in passato che oggi, contro le tentazioni
carnali.
Che il culto di San Giuseppe abbia raggiunto in passato vette di
popolarità lo dimostrano anche le dichiarazioni di moltissime chiese
relative alla presenza di sue reliquie. Per fare qualche esempio
particolarmente significativo: nella chiesa di Notre-Dame di Parigi ci
sarebbero gli anelli di fidanzamento, il suo e quello di Maria; Perugia
possiederebbe il suo anello nuziale; nella chiesa parigina dei Foglianti
si troverebbero i frammenti di una sua cintura. Ancora: ad Aquisgrana
si espongono le fasce o calzari che avrebbero avvolto le sue gambe e i
camaldolesi della chiesa di S. Maria degli Angeli in Firenze dichiarano
di essere in possesso del suo bastone. È sicuramente un bel “aggiunto”
di fede.
Autore: Mario Benatti
Giuseppe rappresenta il padre, non per discendenza biologica, ma nel
significato più vero. Il padre è colui che custodisce i figli, li ama,
li protegge, se ne prende cura seguendoli nel loro cammino. Le virtù
conosciute di San Giuseppe sono la pazienza, l’equilibrio, la dignità,
l’ascolto, la bontà, l’ubbidienza. E per ubbidienza accetta la Parola di
Dio, assumendo il ruolo di capo famiglia con tutte le responsabilità
verso chi gli viene affidato.
Giuseppe, uomo giusto, umile, silenzioso (i Vangeli non riportano
nessuna sua parola), pronto ad agire, ma piuttosto schivo, vive a
Nazareth in Galilea ed è il fidanzato di Maria. È un artigiano falegname
discendente della stirpe di Davide. Venuto a sapere della gravidanza
della promessa sposa, Giuseppe decide in segreto di ripudiarla. Nella
notte, però, un angelo gli appare in sogno e gli dice di prendere in
sposa Maria perché il figlio che ha in grembo, che si chiamerà Gesù, è
frutto dello Spirito Santo. Giuseppe crede e ubbidisce sposando Maria.
La protegge anche quando dovrà scappare in Egitto per sfuggire alla
persecuzione di re Erode, per poi ritornare con Maria e Gesù di nuovo a
Nazareth.
Giuseppe è un grande lavoratore ed educa Gesù insegnandogli il mestiere
di falegname. La figura di Giuseppe a fianco di Maria è importante per
le sue azioni di uomo proteso alla ricerca della legge di Dio, dedito
alla custodia della sua famiglia. Un uomo che non vuole essere il
detentore del comando, ma l’esempio del padre saggio e amorevole. Non si
hanno notizie sulla data della sua morte, ma si presume che si sia
spento quando Gesù aveva circa trent’anni. Sulla croce Gesù non avrebbe,
infatti, affidato sua madre al suo discepolo Giovanni se Giuseppe fosse
stato ancora in vita.
Il suo simbolo è il bastone fiorito di gigli, segno di purezza. È
protettore della famiglia, dei papà, delle ragazze da marito, dei
lavoratori in genere tra i quali, in particolare, artigiani, operai,
falegnami, carpentieri, decoratori. Protegge pure i senzatetto, gli
esiliati, i viaggiatori e i Monti di Pietà. Dichiarato patrono della
Chiesa cattolica, viene invocato per ottenere un buon matrimonio. San
Giuseppe si celebra il 19 marzo, giorno in cui si festeggiano i papà, ma
anche il Primo Maggio, festa dei lavoratori.
Autore: Mariella Lentini
Fonte:
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Note:
La data di culto di San Giuseppe in alcuni anni viene trasferita.
Questo avviene quando il 19 marzo cade nella Settimana santa (ad
esempio, nel 2008) o coincide con una Domenica di Quaresima (nel 1995,
nel 2017 e nel 2023) o con la Domenica delle Palme.
(Decreto Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei
Sacramenti del 22.04.1990).
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